La potenza, dell’impotenza. La mia vita accanto ad uno stomizzato... anzi due!
Il dolore e la gioia sono come la luce... ti colpiscono sempre... direttamente o di riflesso.
Questa la mia esperienza accanto a mio padre prima, il mio compagno poi, entrambi stomizzati.
Mio padre era un uomo forte ma, da quando ho memoria, mai in salute.
Aveva fiducia nei medici, non molta sulla fortuna di imbattersi in quelli intelligenti, probabilmente ne aveva conosciuti forse troppi e col passare degli anni la sua forza si era indebolita mentre la paura di soffrire ancora era aumentata.
Il "male" cominciò con perdite di sangue che iniziarono dopo un periodo di tregua da un lungo ed estenuante periodo di renella, da interminabili coliche renali.
Era sempre peggio e da "coca cola" come la chiamava lui diventò sempre più sangue vivo fino a quando una sera non riuscì più ad urinare ed il dolore cominciò ad essere insopportabile e si decise... era ora di correre. L'ospedale più vicino lo aveva deluso troppe volte e non si fermò...
Forse per non fermarsi... forse per non rientrare in un ospedale ... forse per troppa consapevolezza di ciò che stava accadendo... forse nella speranza passasse... forse... forse... tanti forse... una sola certezza... la paura.
Proseguirono... mia madre al suo fianco pronta ad uccidere per lui anche un “Crachen”... ma impotente contro la sua giustificata paura di un nemico intangibile il dolore fisico... era lui che soffriva... Si arrese al male ed entro al pronto soccorso dopo un viaggio di due ore.
Il medico comprese immediatamente... occlusione delle vie urinarie causa coaguli di sangue...
Era cadaverico con sudori freddi, dolori indicibili, terrorizzato e con un cuore segnato da infarti.
Superò la notte che fu interminabile... si riprese... ma gli esami portarono alla luce la causa delle emorragie... un tumore all'interno della vescica con, come lo definiva lui, "pacchetto omaggio" un altro tumore alla prostata.
I medici dissero che c'era la probabilità di una stomia ma non potevano esprimersi con certezza fino a quando non avessero “guardato dentro”... situazione che mio padre aveva già vissuto a diciotto anni, suo padre aperto e richiuso con un tumore al cervello inoperabile.
Cosa fare? Al corpo potevano pensarci solo i medici ma guardandolo negli occhi... cosa dire?... Tu che non hai un tumore in corpo... tu che non stai soffrendo fisicamente... tu che non subirai un intervento devastante... tu che non hai la morte così vicina... cosa puoi dirgli? Mi dispiace... vorrei averlo io... vorrei avere una soluzione indolore... vorrei... vorrei... parole piene di affetto... sincere... ma inutili... capaci solo di far crescere un'enorme rabbia e tristezza.
La mente si annebbia... non puoi fare... non puoi dire... non puoi e basta... allora ti butti nell'unica cosa che rimane di fronte a lui... ridere... a provare di ridere... quante stupidaggini dette... fatte inventate pur di farlo ridere... pur di ridere... tutto pur di non pensare.
Poi l’intervento. Ore interminabili, un’attesa interminabile non potendo fare altro che aspettare... che altro poter fare se non aspettare per poter sapere cosa succedeva, cosa sarebbe successo incapaci di poter fare qualcosa, in quei momenti avresti la forza di disfare il mondo se fosse utile per dargli il sollievo... ma tutto ciò che fai è una goccia che si perde nell'oceano. L'esito dell'intervento fu un'urostomia.
Fu difficile il mese successivo di degenza ma i medici lo dissero "pazientate, sono tutti “cattivi” dopo... è il male che parla non la persona... la paura si tramuta in rabbia".
Ci si sente impotenti... e allora si cerca di aiutare, accudire in mille modi... un bicchiere d'acqua, piccoli gesti ma questo desiderio di fare qualcosa... in ogni istante e ad ogni costo... per togliere dalla nostra mente e dal nostro cuore il senso d'impotenza può finire per “infastidire” e trasmette un “eccesso” d’amore e frustrazione, e solo dopo... quando il peggio passa e si torna alla "normalità"... ci si rende conto che eravamo tutti "malati" in quei momenti.
Arrivò il momento di tornare a casa. Mio padre era obeso e questo gli creava problemi nella sostituzione delle placche, nella gestione della stomia.
Ci pensava mia madre e in sua assenza, quando era al lavoro, lo facevo io pur rendendomi conto del grosso disagio da parte di mio padre e per quanto, con parole e fatti io esprimessi la mia totale disponibilità e inesistente fastidio nell'aiutarlo, nulla poté diminuire in lui il disagio.
La mancanza d’autonomia fu il suo più grande ostacolo, il dover chiedere, il dovermi svegliare di notte perché il sacchetto perdeva con conseguente cambio di lenzuola e indumenti... non accettava che l'uomo con tutta l'intelligenza che ha in cose inutili si fosse fermato ad una placca adesiva... inaffidabile. Non si arrese e partecipò a congressi constatando che c'era chi aveva subito la stomia anche in età infantile, l’averla subita dopo i 60 finì per considerarla una "fortuna". Trascorse molto tempo a cercare rimedi per ridurre i tempi di applicazione e i fastidi della placca, arrivò a modificare i sacchetti... aggiunse tubi e sacche da gamba da tenere in casa e da viaggio... per viaggi più lunghi o solo per sentirsi sicuro a fare la spesa, cercò se esistevano placche migliori e quando le trovò, fu felice di aver “riscattato” l'intelligenza umana che gli consentiva un'autonomia superiore ai tre giorni e una praticità notevole... era felice di aver ridotto il per lui notevole disagio di cambiargli il sacchetto.
A parte il cambio era autonomo ma, con gli anni e i malanni, era diventato estremamente sedentario e pur mangiando poco era ulteriormente ingrassato con ripercussioni nello stoma tali da causargli grossi problemi. Dai due cm iniziali arrivò a superare i dieci centimetri con conseguenti problemi nell’applicare la placca e andando ad incidere sui suoi tempi di autonomia. Cosa fare... dieta e sport... ma non vennero fatti e questo portò ad un ulteriore intervento che gli fece rivivere, a parte il tumore, il decorso del precedente intervento... soffrendo.
Gli fecero una plastica addominale per contenere i tessuti che erano prolassati e una riduzione dello stoma quasi della metà riportandolo ad un'autonomia soddisfacente.
Visse oltre sette anni da stomizzato ma il dolore fisico lo aveva consumato e non aveva più la voglia di lottare quando un nuovo tumore lo colpì, lo ignorò.
Io ho vissuto la stomia di mio padre così, vedendola subire, vivere e a mia volta subendola, non è la stomia ma bensì il "male", è quello che consuma dentro un individuo fino a spegnerlo... qualunque sia il “nome” del male...
A volte pare che il destino voglia “divertirsi” con noi, dopo tre anni conobbi un uomo...
Sin dalla prima volta, passeggiando in un parco, riusciva ad infondermi una calda e serena calma mentre nei suoi intensi occhi scuri c'era una mescolanza di profonda tristezza e voglia di gioire ancora, quella luce che solo i bambini hanno, la stessa gioia di vivere.
Parlammo e tra le altre cose mi disse che aveva avuto un tumore, ne parlava senza rancore né tristezza ma, al contrario, con serenità e quella calma e pace mi pervasero.
Cominciai a frequentarlo e un giorno scoprii che il tumore lo aveva stomizzato, non so perché ma lo presi come se mi avesse detto che aveva un tatuaggio, la cosa mi lasciava indifferente per me, era solo un uomo completo da conoscere.
Non ho vissuto con lui il dolore del male, dell'operazione tanto meno il riprendere a vivere, l'ho incontrato quando il peggio ormai era lontano, metabolizzato e la stomia accettata. Ho vissuto altri momenti di vita non meno intensi, momenti normali di chi vuole vivere e gioire per tutto ciò che la vita di bello può donarci.
Ho vissuto la breve esitazione della prima volta che si è spogliato mostrandosi, ho vissuto momenti di fragilità quando le prime volte nell'intimità il sacchetto si staccava causandogli attimi di panico, e vissuto fragilità reciproche. Lui mai avrebbe voluto che accadessero ed io insicura su come muovermi, su come comportarmi per non ferirlo, “umiliarlo” cercavo di ridimensionare l'evento e viverlo per quello che è, la normalità.
Stiamo insieme da quasi quattro anni, i più belli della mia vita. Quattro anni intensi accanto ad un uomo profondamente sensibile, solido e maturo, equilibrato denudato da ogni tipo di frivolezza.
Anche lui ha terrore del male fisico, il terrore di chi sa cosa è il dolore, cosa si prova e quanto è profonda ed incancellabile la cicatrice interiore che rimane, a volte lo vedo fragile ed indifeso, ma nei suoi occhi, dopo tutto quello che ha passato, la luce è ancora viva e forte, abbagliante capace d’illuminare anche me.
Vivremo ancora momenti imbarazzanti, momenti di disagio e fragilità ma li affronteremo insieme come tutti, parlando e comunicando, cercando di esprimere ciò che sono momenti di normalità potendo dire che se si vuol bene si possono superare i problemi godendosi a pieno ciò che si ha e che trovo impagabile fino a farmi arrivare ad “amare” la sua stomia, quella “cosa” che gli ha permesso di vivere, quella “cosa” che mia ha permesso di conoscerlo e oggi di viverlo.
Oggi e il lunghissimo domani... "con" la stomia che a volte diventa "un gioco", un motivo di affettuoso "ricatto"...
Il dolore e la gioia sono come la luce... ti colpiscono sempre... direttamente o di riflesso.